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Riflessioni ad alta voce

2022-04-05 16:44

don Antonio Parisi

News,

Riflessioni ad alta voce

Il vero significato del canto liturgico“Basta cantare”, “ci mettiamo tanta buona volontà nel cantare”, “Dio ascolta tutto”, “cantiamo per partecipare

Il vero significato del canto liturgico

“Basta cantare”, “ci mettiamo tanta buona volontà nel cantare”, “Dio ascolta tutto”, “cantiamo per partecipare meglio e così non ci annoiamo”. Sono alcune delle risposte che si ascoltano dai cantori e dai fedeli. Ma è proprio questo il cantare liturgico? Cantare nella liturgia è qualcosa di diverso del cantare in altre situazioni o ambienti; cantare nella liturgia significa cantare in un evento celebrativo, perciò il canto deve essere strettamente unito al rito; testo e musica devono inserirsi nell’azione rituale.

 

Il silenzio nella liturgia

Un’altra riflessione riguarda il silenzio; siamo immersi quotidianamente nel chiasso, sommersi da rumori e suoni vari di ogni genere e intensità. In casa, per strada, negli ambienti di lavoro è presente un inquinamento acustico alto; hanno forse torto tante persone che vorrebbero almeno in chiesa trovare un po’ di silenzio?

Il canto e la musica sono elementi indispensabili per la liturgia e la preghiera, ma si pone il problema di usarli con discernimento. Ci sono musiche che fanno intendere la Parola e musiche che la oscurano; ci sono musiche precedute e seguite dal silenzio e musiche che fanno soltanto rumore. Cosa scegliere? Chi decide?

Siamo sicuri di quelle idee ripetute in questi anni della riforma: la chiesa allontana i giovani se non usa la loro musica, i loro gesti, le loro parole? Non si può opporre la musica popolare alla musica colta, alta; nella liturgia non si può scegliere l’una opponendola all’altra. Ambedue hanno cittadinanza, ma in riferimento sempre all’azione rituale e all’assemblea presente. È sempre valido il trinomio: musica, liturgia, cultura, da coniugare insieme.  

 

Stanchezza e routine celebrativa

Alcuni anni addietro, i vescovi denunciarono “una certa stanchezza” delle nostre liturgie, che significa celebrare in modo automatico senza convinzione e partecipazione. A questa realtà alcuni hanno reagito tuffandosi nella tradizione passata – “com’era bello quando si celebrava in latino” – altri invece sono andati in cerca dello spettacolare, di fare colpo, di sbalordire con i propri interventi.

 

E il rischio in agguato è che tutto diventi spettacolo. Tutto ciò a scapito del silenzio, della interiorità, della semplicità; la nobile semplicità di gesti, segni e parole, di cui parlava il Concilio. Non dimentichiamo la semplice povertà dei mezzi e segni che la liturgia ci fa usare: un pezzo di pane, un sorso di vino, acqua semplice di fontana, olio profumato d’ulivo.

 

Alternanza fra feriale e festivo

Ancora un’altra riflessione: l’alternanza fra la celebrazione feriale e quella festiva. È una diversità utile da attuare per non appiattire tutto e rendere uguale la festa e il giorno feriale. Il cammino dell’anno liturgico ci offre una guida illuminata per alternare i vari giorni e le varie celebrazioni: feria, memoria, festa, solennità.

Anche nella scelta dei canti, dei segni e delle preghiere dobbiamo tener conto di questa differenza. Non si possono ogni giorno cantare tutti i canti previsti dal rito, non sempre è utile scambiarsi il segno della pace ogni giorno; nemmeno la preghiera dei fedeli è obbligatoria ogni giorno, come anche l’omelia quotidiana.

La persona ha bisogno di cambiare, di differenziare, di alternare, di variare; non possiamo cantare gli stessi canti dell’ordinario sia in un giorno feriale e sia la domenica. Come pure la solennità esige un apparato di canti che si differenziano dai canti quotidiani.

È bello ritrovarsi a Natale con canti diversi che esprimono il senso e il significato della festa. Che valore ha un cantare quotidiano, affidato alla buona volontà di alcuni habitué, privi di una benché minima conoscenza e preparazione del fatto sonoro.

Ci vuole un progetto e una regia musicale che guidi le scelte operative.

Bisogna passare dal silenzio quotidiano alla grande musica del giorno di festa; dal semplice canto quotidiano alla ricca polifonia festiva in cui veramente l’intera comunità loda e canta con squilli di tromba, con arpa e cetra, con timpani e danze, con corde e sui flauti, con cembali sonori.

(cfr. Salmo 150).


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